Paternò è un centro urbano di medio-piccole dimensioni situato nell’entroterra etneo[5], nell’estrema parte occidentale del territorio della Città metropolitana di Catania, al confine con il Libero consorzio comunale di Enna.
Il suo territorio ha un’estensione di 144,68 km², l’ottava tra i comuni della sua provincia Confina a nord con Biancavilla, Santa Maria di Licodia e Ragalna, a ovest con Centuripe, in provincia di Enna, a est con Belpasso, a sud con Castel di Iudica e Ramacca, appartenenti al distretto del Calatino.
Il territorio di Paternò è situato alle pendici sudoccidentali dell’Etna. Prevalentemente collinare e pianeggiante[8], dal punto di vista geomorfologico, è suddiviso in due aree ben definite, con i terreni di origine lavica nelle contrade verso est e i terreni di origine alluvionale a sud lungo la Valle del Simeto e la Piana di Catania.[9] La sua altitudine media è di 225 m s.l.m. – una delle più basse della provincia – che varia da una quota minima di 34 m s.l.m. nella sua parte occidentale, a una quota massima di 2.845 m s.l.m., nella parte orientale.
Una buona parte del territorio paternese ricade nel bacino idrografico del fiume Simeto. Il territorio, inoltre è caratterizzato dalla presenza di numerose sorgenti idriche, in quanto si incontrano gli strati lavici permeabili con quelli argillosi impermeabili, facendo fuoriuscire le acque provenienti dal bacino idrografico dell’Etna; le sorgenti più importanti sono Monafria, Maimonide e Currone
La città, invece, è racchiusa in una conca delimitata dall’antico vulcano preistorico che fu il luogo dove sorse il primo nucleo abitato. Ubicate nella parte nordoccidentale del territorio comunale, le Salinelle, importante sito di interesse naturalistico. Il territorio di Paternò è caratterizzato da una scarsa presenza di boschi, ma ciò è dovuto principalmente al fatto che, grazie alla fertilità dei terreni, utilizzati per le coltivazioni – soprattutto quelle agrumarie – presenta circa 6.000 ha di superficie agricola utilizzata.
A seguito dell’ordinanza emessa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri entrata in vigore il 20 marzo 2003, e deliberata dalla Giunta regionale siciliana il 19 dicembre, la classificazione sismica attribuita al territorio del Comune di Paternò è quella di Zona 2 (sismicità media)[15].
Clima
Il clima è mediterraneo, tuttavia la posizione geografica tra la Piana di Catania e l’Etna nell’immediato entroterra rispetto alla costa ionica catanese ne risalta alcune caratteristiche continentali: mite di tipo subcontinentale nel periodo invernale[16], e torrido e afoso in quello estivo. Le nevicate sono molto rare, anche se è avvenuto qualche episodio nel corso degli anni durante forti ondate di freddo.[17][18]
È classificata quale zona climatica di tipo C.[19]
PATERNÒ[20] Mesi Stagioni Anno
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Inv Pri Est Aut
T. max. media (°C) 13,1 13,7 15,4 17,9 22,5 27,0 30,4 30,4 27,2 22,4 18,1 14,5 13,8 18,6 29,3 22,6 21,1
T. min. media (°C) 5,6 5,6 6,8 8,9 12,5 16,6 19,4 19,9 17,6 13,9 10,2 7,3 6,2 9,4 18,6 13,9 12,0
Origini del nome
Numerosi studiosi, antichi e contemporanei, si sono soffermati sull’origine del toponimo «Paternò», ed hanno formulato diverse ipotesi su quale possa essere il suo significato.
Tra le ipotesi, sono degne di segnalazione quelle dello storico Gaetano Savasta (in Memorie storiche della città di Paternò, 1905), e del linguista Giovanni Alessio, che nei loro studi si sono orientati verso l’ipotesi di un’origine greco-bizantina del nome.[21] L’Alessio sostiene che il nome di Paternò sia legato a quello del vicino centro di Adernò, anch’esso di origine bizantina, e l’etimologia deriverebbe dall’espressione in lingua greca ep-Adernòn, che significa «verso Adernò».[22][21] Ma questa ipotesi, oltre ad essere semplicistica, non è suffragata da alcuna fonte storica.[21] Il Savasta, invece, ha formulato l’ipotesi che il toponimo abbia origine latina e che derivi da Paetram Aitnaion, il cui significato sarebbe «Rocca degli Etnei» (riferendosi all’antico toponimo di Aitna). Ipotesi quest’ultima simile a quella formulata nel XVI secolo dallo storico Leandro Alberti, per il quale il toponimo comparve sotto i Romani.[23]
Il geografo arabo Al-Muqaddasi, nella sua descrizione della Sicilia redatta intorno al 985, denomina la città come Batarnù e afferma che il toponimo era preesistente alla dominazione araba.[24][25] L’etimologia sarebbe perciò latino-bizantina, dove paternum praedium, cioè “proprietà terriera ereditata dal padre”, veniva pronunciato Paternón, per passare poi nella forma ufficiale dei testi antichi Paternio e quindi arrivare all’attuale Paternò.[25]
Gli abitanti di Paternò sono detti paternesi o patornesi, e in siciliano sono detti paturnisi.[26]
Storia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Paternò.
Età antica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Inessa e Hybla Gereatis.
Il popolamento e la fondazione di un centro abitato nel sito su cui sorge l’odierna città di Paternò, di origine vulcanica, risalgono all’età di Thapsos.[27] In origine dovette trattarsi di un villaggio dei Sicani, i quali sarebbero stati successivamente cacciati dai Siculi, che vi si insediarono intorno al IV millennio a.C., sfruttarono il tipo di superficie per cavare dalle rocce i blocchi di lava ed estrarre gli utensili da lavoro e le macine, e vi costruirono edifici sulla parte sommitale del colle vulcanico.[9]
Il villaggio assunse il nome di Hybla (Ὕβλα), che per distinguerlo dalle altre città siciliane con lo stesso nome, fu chiamato Hybla Gereatis (o Hybla Major).[28] Nella stessa epoca e nella stessa area, sorse probabilmente il villaggio di Inessa (Ἴνησσα). A fare menzione di queste due località, fu lo storico greco Tucidide, il quale affermò persino che i due villaggi fossero di origine sicula e li collocò nella medesima zona.[29]
Le due città sicule caddero in mano greca attorno al 460 a.C., quando furono assediate dai Siracusani guidati dal tiranno Gerone I. Ad Inessa si rifugiarono numerosi profughi provenienti da Katane, e fu successivamente denominata Aitna (Αἴτνα).[9] Liberate dal dominio siracusano per opera dei Corinzi guidati dal generale Timoleonte nel 339 a.C., Inessa e Hybla seguirono le sorti dell’isola, passando nel 243 a.C. sotto il dominio di Roma, e furono inserite nell’elenco delle città decumane dell’isola.[30]
Età medievale
Ruggero d’Altavilla
Suddivisione in quartieri etnici del colle di Paternò in epoca medievale: Lombardi, Arabi, indigeni, Bizantini, Ebrei.
Nel 476, avvenne la caduta dell’Impero romano d’Occidente, e dopo questo evento si persero le tracce delle due antiche città di Aitna e Hybla: secondo il geografo Strabone i due villaggi siculi scomparvero attorno al II secolo a.C..[31] La Sicilia, dapprima conquistata dai Barbari guidati da Odoacre, nel 553, al termine della Guerra gotica, passò sotto il dominio dell’Impero bizantino: al periodo bizantino risalrebbe la nascita dell’attuale nome della città etnea come Paternón.
Dell’epoca bizantina si hanno scarse notizie nelle fonti storiche, gran parte delle quali riportano scarne informazioni in merito all’intenso processo di cristianizzazione che portò alla diffusione dello stile di vita monastico e alla costruzione di eremi, tra i quali, quello importantissimo di San Vito (dal VI secolo). Il dominio bizantino sulla Sicilia cessò dopo quattro secoli, e nel 901, Paternò fu occupata dagli Arabi, e il borgo fu chiamato Batarnū (بترنو)[32], che amministrativamente fu inserito nel Val DemoneSecondo lo storico Francesco Giordano, risalirebbe a questo periodo, o ad epoca anteriore, il qanat che si snoda all’interno della Collina storica; si tratta di un’opera di ingegneria idraulica per il convoglio, il trasporto e la distribuzione dell’acqua.[33] Grazie alla fertilità dei luoghi, in epoca araba si assistette ad una costante ripresa delle attività agricole e pastorizie in tutto il territorio.[34]
Nel 1061, Paternò fu liberata dal dominio saraceno da parte dei Normanni guidati dal condottiero Ruggero d’Altavilla, che vi arrivarono dopo aver liberato Messina e gli altri casali del Val Demone.[35] L’insediamento dei Normanni rappresentò per la città etnea l’iniziò di un periodo di grande splendore civico ed economico: a Paternò, in epoca normanna, furono edificati numerosi edifici ecclesiastici – chiese, conventi e monasteri – per cancellare ogni traccia della presenza islamica, nonostante il borgo etneo – in cui la componente etnica maggioritaria era quella greca – fu uno dei meno islamizzati dell’isola.[25] Numerose furono anche le costruzioni di presidi militari e di difesa, come il dongione fatto edificare nel 1072 dall’Altavilla, usato come fortezza per attaccare Catania e le altre zone a maggioranza arabe.[36][37]
Paternò divenne feudo del Gran Conte Ruggero, che nel 1072 la elevò a contea ed assegnò in dote al genero Ugo di Jersey, marito della figlia di primo letto Flandina d’Altavilla. La Contea di Paternò fu soppressa nel 1200 – alla morte del conte Bartolomeo de Luci – e reintegrata al demanio, finché nel 1209 il giovane sovrano Federico II di Svevia la assegnò a Pagano Parisi (o de Parisio), che ne assunse la signoria in quanto marito di Margherita de Luci, figlia di Bartolomeo.[38] Il dominio feudale del Parisi cessò nel 1213 perché accusato di sedizione contro il Re di Sicilia, che gliela confiscò[38]; in epoca sveva, ebbero successivamente la signoria su Paternò, Beatrice Lancia (1234-1250) e Galvano Lancia (1251-1268). Estintasi la dinastia sveva, con la morte del Re Manfredi nel 1266, ci fu lo sterminio per ordine di Carlo I d’Angiò di tutti i membri maschi della Casa reale, e l’eliminazione dello stesso Lancia ad essi fedele, a cui venne confiscata la signoria di Paternò.[28][39]
Nel 1268, gli Angioini si impadronirono della Sicilia, e il dominio feudale su Paternò risulta appartenere ad un signore di cognome Bonifacio, a cui succedette la figlia Giacoma, per mezzo della quale pervenne in dote al marito Manfredi Maletta.[28][40] Il Maletta, che nell’ambito della rivolta dei Vespri siciliani scoppiata nel 1282 contro i dominatori angioini, sostenne l’intervento degli Aragonesi nell’isola, li tradì nel 1299 per passare dalla parte degli Angioini; il principe Federico d’Aragona, divenuto Re di Sicilia nel 1296, gli confiscò la terra di Paternò e la concesse ad Ugo di Empúries, conte di Squillace.[28][41] Nel 1302, il sovrano aragonese inserì Paternò nella Camera Reginale, una dote patrimoniale che assegnò come dono di nozze alla consorte la regina Eleonora d’Angiò.[42] Lo stesso re Federico III di Sicilia morì a Paternò la notte del 23 giugno 1337 nell’Ospedale della Commenda dell’Ordine di San Giovanni in Gerusalemme – sito fuori dalla cinta muraria della città – dopo essere stato qui ricoverato, mentre ammalato di podagra, da Enna si recava a Catania.[43]
Nel 1365, il re Federico IV di Sicilia assegnò Paternò ad Artale Alagona, conte di Mistretta, con cui riebbe lo status di contea avuto in epoca normanna, avendo l’Alagona permutato la terra etnea con la Contea di Mistretta.[44] Gli Alagona persero Paternò nel 1396, a seguito di confisca ordinata dal re Martino I di Sicilia per l’accusa di fellonia a loro carico, e il medesimo, nel 1403 la reinserì nella Camera Reginale, a disposizione della sua consorte la regina Bianca di Navarra, che due anni più tardi codificò un sistema di norme civili denominato Consuetudini di Paternò.[45]
La permanenza di Paternò all’interno della Camera Reginale durò fino al XV secolo: il re Alfonso V d’Aragona vendette la terra e il castello di Paternò, dapprima a Niccolò Speciale, barone di Spaccaforno nel 1431, e in seguito a Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Adernò nel 1456, con il mero e misto imperio sul feudo.[46][47]
Paternò ebbe l’appellativo di «Città» in quell’epoca, come attestato da un diploma del 1473 dell’arciprete Antonio de Rocco, un titolo che solitamente spettava alle sedi arcivescovili.[48]
Età moderna
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Principato di Paternò.
Ritratto di Francesco Moncada de Luna, primo principe di Paternò
Il dominio feudale dei Moncada su Paternò, durò per quasi quattro secoli. La cittadina etnea, da semplice terra baronale fu elevata a rango di principato per l’investitura ottenuta dal conte Francesco Moncada de Luna a I principe di Paternò da parte del re Filippo II di Spagna l’8 aprile 1565, resa esecutiva il 3 giugno 1567.[49]
Il Principato di Paternò fu uno dei maggiori stati feudali della Sicilia per superficie e popolazione, nonché uno con i più elevati livelli di ricchezza media pro capite, superiori persino a quelli di molte città demaniali.[50] Notevole impulso ebbero le attività agricole, artigianali e commerciali, e molto significativa fu l’affermazione di un ceto borghese costituito da ricche famiglie che formarono l’élite cittadina che governava per conto del Principe.[50]
Il 26 aprile 1636, il principe Luigi Guglielmo Moncada d’Aragona La Cerda, emanò un decreto con il quale veniva decisa la separazione dei territori di Paternò e Malpasso, con quest’ultima che si costituiva casale autonomo e dotato di una propria giurisdizione.[51] Paternò, ridimensionata per lo scorporo da Malpasso, non fu investita dall’eruzione dell’Etna del 1669, ma come tutti i centri della Sicilia orientale subì, al contrario, ingenti danni dal violento terremoto del 1693.[52] Il terribile evento sismico provocò nella città appena 60 vittime[52], ma già dalla seconda metà del XVII secolo, si verificò la progressiva espansione dell’abitato verso la pianura ad ovest con la nascita di nuovi quartieri e contrade, con conseguente abbandono dell’antico borgo sul colle lavico da parte degli abitanti.[53] Risale a questo periodo un interessante documento, una Mappa prospettica (un disegno ad inchiostro inserito all’interno di un manoscritto del Sei-Settecento che raffigura la più antica veduta di Paternò) che inquadra la città con i suoi monumenti principali e con scene di vita quotidiana e di giustizia. Intenso fu lo sviluppo urbanistico e demografico nella “parte bassa” con la costruzione di piazze, strade e vicoli, la bonifica delle zone paludose, l’erezione di edifici religiosi e di abitazioni civili, avvenuta in maniera copiosa e spesso disordinata, che portò alla formazione di nuovi quartieri negli anni successivi fino a primi del XX secolo, e determinarono la fisionomia dell’attuale centro storico.
Il 22 luglio 1753, Paternò ebbe confermato il titolo di «Città».
Età contemporanea
Giuseppe Garibaldi
Uno scorcio della via Vittorio Emanuele nella zona delle Palme, alla fine del XIX secolo
Piazza Indipendenza in una foto risalente alla fine dell’Ottocento
Nel 1812, il re Ferdinando III di Borbone, in risposta alla rivolta scoppiata nell’isola e all’avanzata napoleonica, concedette ai suoi sudditi del Regno di Sicilia una costituzione che sanciva l’abolizione del feudalesimo, e pertanto il Principato di Paternò cessò di esistere, e con esso il dominio dei Moncada sulla città.
Dopo la caduta di Napoleone e dei vari Stati-fantoccio giacobini, nel 1816 nacque il Regno delle Due Sicilie: Paternò che a inizio XIX secolo contava una popolazione attorno ai 10 mila abitanti, con la riforma amministrativa del 1817 varata dalla Corona borbonica divenne comune circondariale e fu inserita nel Distretto di Catania.[56] Nel 1826-31, veniva costruita la strada rotabile che collegava Paternò con Catania.
Dopo la fine del feudalesimo e la soppressione del Principato di Paternò, gli abitanti del quartiere di Licodia – che contava una popolazione di circa 2.200 unità – aspirarono alla sua elevazione a comune autonomo, che ottennero con Decreto Reale n. 6372 del 22 agosto 1840, che stabilì la sua istituzione al 1º gennaio 1841.
Nella Sicilia borbonica si diffuse tra la popolazione un sentimento ostile alla Casa reale, che insorse con i moti del 1820, del 1837 e del 1848. A Paternò, dove parte dell’élite cittadina aderì alle idee liberali diffusesi all’epoca ed alle organizzazioni segrete come la Carboneria, tali avvenimenti, verificatisi nei maggiori centri dell’isola, ebbero scarso eco e la stragrande maggioranza della popolazione non partecipò ad alcuna rivolta popolare.[60] L’insurrezione antiborbonica ebbe invece una grossa partecipazione popolare in città il 17 maggio 1860, che vide l’innalzarsi del Tricolore: i volontari in camicia rossa di Giuseppe Garibaldi sconfissero un reparto dell’esercito borbonico guidato dal colonnello Mella, e questa impresa consentì successivamente ai garibaldini di conquistare Catania.[61] Lo stesso Garibaldi, recò visita alla città nel 1864, che lo accolse festante, e al quale gli venne pure intitolata un’importante via del centro storico.
Dopo l’Unità d’Italia, a Paternò continuarono a persistere le stesse problematiche dell’era borbonica. Una vasta porzione di territorio era infestata dalla malaria, per la vicina presenza del fiume Simeto, e il problema venne gradualmente risolto con le prime bonifiche delle zone paludose nella Piana di Catania, avviate il secolo precedente ed attuate nel corso dei decenni successivi.[62] La forte presenza del latifondo non permise un corretto sviluppo delle attività agricole, neppure a seguito della lottizzazione delle terre demaniali avvenuta dopo il 1869, che favorì maggiormente i grandi proprietari terrieri e non i piccoli coltivatori.[60] Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, aumentò comunque la superficie agraria e forestale del territorio, che si arricchì così di agrumeti, fattore quest’ultimo che attrasse le migrazioni di braccianti agricoli (detti «agrumari») provenienti dai comuni confinanti della stessa provincia e dai comuni rurali delle province di Enna e di Messina[63]. Fiorenti erano anche le attività manifatturiere, e nel medesimo periodo, sorsero a Paternò le società operaie e le cooperative agricole.[64] Tuttavia, le condizioni di vita dei ceti più umili della popolazione paternese rimanevano precarie, e il loro disagio veniva a manifestarsi con i tumulti scoppiati nell’aprile del 1896, contro l’introduzione di un’imposta comunale sui generi di largo consumo che aveva sostituito quella sul focatico, con assalti al municipio, agli uffici delle imposte e al carcere; l’ordine fu ristabilito con l’intervento prefettizio, la nuova imposta venne soppressa, il deficit comunale fu poi colmato dal governo nazionale.[65]
La prima metà del XX secolo a Paternò fu caratterizzato da momenti di alti e bassi dal punto di vista economico. Durante il Fascismo – tranne che nel periodo della Grande crisi – conobbe un incremento della sua produzione agrumicola, in particolare a seguito delle politiche economiche autarchiche attuate dal regime di Mussolini dopo le sanzioni del 1936, che favorirono la commercializzazione delle produzioni agricole locali, proteggendole dalla concorrenza straniera.[66]. Nelle due guerre mondiali, il centro etneo pagò un grosso tributo a livello di vite umane. Se nella prima guerra mondiale furono circa 600 i giovani paternesi mandati sul fronte che persero la vita[67], fu soprattutto nella seconda guerra mondiale che si manifestarono gli eventi più disastrosi. La città fu sottoposta a pesanti bombardamenti compiuti dall’aviazione anglo-statunitense dal 14 luglio al 2 agosto 1943, che distrussero l’80% dell’abitato e causarono 2.320 feriti.[68] Il numero di morti, che la storiografia ufficiale quantifica ad oltre 4.000 unità, in base a ricerche storiche compiute nei decenni successivi – tra cui quelle effettuate dallo storico e giornalista paternese Ezio Costanzo – si aggirerebbe attorno alle 500 unità, e pertanto le stime fatte all’epoca sono state ritenute errate.[25][69]
La ricostruzione post-bellica a Paternò fu inizialmente molto lenta. Tuttavia lo sviluppo urbanistico della città ha subito una forte accelerazione negli sessanta-settanta, periodo in cui la “geografia” urbana e stradale della città si è meglio definita secondo gli standard moderni e meglio adattata alle esigenze delle nuove classi emergenti della borghesia medio-alta, con la creazione di nuovi quartieri. La nuova espansione urbanistica, conseguenza del costante incremento demografico, avvenne spesso in maniera disordinata, con numerosi casi di edilizia abusiva, che ha deturpato il tessuto urbano.[70] Lungo la direttrice nord, invece, dove l’espansione è stata regolata dall’amministrazione comunale, si è sviluppato il quartiere Ardizzone, che presenta un’elevata dotazione di servizi e, soprattutto, di verde pubblico.[71] Importante fu anche lo sviluppo demografico della frazione di Ragalna, eretta a comune autonomo nel 1985.[72]
Malgrado l’adozione del primo piano regolatore generale da parte dell’amministrazione comunale nel 1983, il problema dell’abusivismo edilizio a Paternò non cessò di persistere negli anni successivi, e ciò portò alla creazione di nuovi insediamenti abitativi nella parte sudoccidentale della città – denominata “Zona C1” – un processo che diede origine al quartiere Scala Vecchia-Palazzolo. Lo sviluppo di zone periferiche e la riqualificazione di alcune parti della zona centrale dell’abitato, determinarono uno spopolamento del centro storico, passato dai 30.000 residenti del 1950 ai 18.000 del 1995.